Declino cognitivo nel Parkinson causato da svincolo del liquor
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 22 maggio 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La malattia di Parkinson ha una patogenesi riconducibile
al danno degenerativo del contingente dopaminergico nigrostriatale proveniente
dai neuroni della parte compatta della substantia nigra mesencefalica, mentre l’eziologia
rimane problematica, soprattutto perché a lungo si è cercata una causa unica
per un quadro clinico centrato sul disturbo motorio. Da qualche decennio, come
si fa per la malattia di Alzheimer e le altre patologie neurodegenerative
maggiori, la ricerca distingue l’indagine genetica sulle forme familiari dallo
studio eziologico delle forme in cui la componente genetica non sembra rivestire
un ruolo prevalente, non apparendo come familiari ed ereditarie e, per questo,
definite sporadiche[1]. In ogni
caso, come la nostra scuola neuroscientifica sottolinea da circa un ventennio, la
considerazione della malattia come disturbo esclusivamente motorio ha
rallentato lo studio delle componenti e dei processi che determinano il declino
cognitivo nelle fasi avanzate di evoluzione clinica.
La deposizione e la diffusione di proteine alterate
nella configurazione, quali l’α-sinucleina e la tau, da tempo sono state
associate alla disfunzione cognitiva nella malattia di Parkinson, ma solo di
recente l’attenzione dei ricercatori è stata attratta dal sistema glinfatico[2], che può
svolgere un importante ruolo protettivo mediante l’eliminazione di queste proteine
tossiche grazie al flusso del fluido cerebrospinale (CSF, o liquor)
attraverso gli spazi perivascolari e interstiziali. Studi recenti hanno
scoperto che l’attività globale del cervello dipendente dal sonno
è strettamente associata al flusso del CSF che può riflettere la funzione
glinfatica.
Feng Han del Dipartimento di Ingegneria biomedica
Dell’Università dello Stato della Pennsylvania e colleghi hanno realizzato un
progetto di ricerca con l’obiettivo di determinare se il disaccoppiamento tra
attività cerebrale e flusso del CSF è associato alla disfunzione cognitiva
della malattia di Parkinson.
I risultati dello studio sono di sicuro interesse
neuroscientifico e clinico.
(Han F. et
al., Decoupling of Global Brain Activity and Cerebrospinal Fluid
Flow in Parkinson’s Disease Cognitive Decline. Movement Disorders – Epub ahead of
print doi: 10.1002/mds28643, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Departments
of Neurology, Biomedical Engineering, Pharmacology, Radiology, Neurosurgery,
Kinesiology, The Pennsylvania State University, University Park, Pennsylvania (USA).
La malattia di Parkinson costituisce
un grande problema neurologico in quanto patologia neurodegenerativa
inguaribile che colpisce l’1-2% della popolazione al di sopra dei 65 anni, seconda
per frequenza solo alla malattia di Alzheimer. La classica terapia sostitutiva
con L-Dopa che soddisfaceva i clinici del secolo scorso, quando l’associazione
con gli inibitori della Dopa-decarbossilasi periferica (benserazide, carbidopa)
migliorava notevolmente la prognosi e la qualità della vita di pazienti in
precedenza considerati intrattabili, non può più soddisfare le aspettative
attuali, non solo per gli effetti collaterali che emergono prima o poi nei
trattamenti protratti, ma perché il procedere della neurodegenerazione, che non
interessa solo i neuroni dopaminergici nigrostriatali ma anche altre popolazioni
di cellule nervose della corteccia, dell’ippocampo e di altri territori dell’encefalo,
progressivamente compromette le condizioni psicofisiche generali in persone che
potrebbero ancora condurre una vita attiva.
Infatti, il notevole aumento della
durata media della vita e della popolazione in età geriatrica, propone un gran
numero di persone anche di vent’anni più anziane dei pazienti di Parkinson che
conducono una vita sociale intensa e soddisfacente. Il quadro clinico, dominato
da tremore a riposo, rigidità, bradicinesia, squilibrio posturale e
deambulazione a piccoli passi, consente di porre facilmente la diagnosi, ma
quando tali sintomi sono evidenti, la perdita di neuroni per degenerazione del
sistema dopaminergico a proiezione nigro-striatale è già in fase avanzata e la
necrosi neuronica è già presente in altre sedi encefaliche.
La conoscenza della biologia
molecolare della malattia ha fatto enormi progressi, specialmente grazie
all’identificazione di varie mutazioni geniche responsabili dei rari casi familiari,
ma il trattamento è rimasto prevalentemente patogenetico-sintomatico e,
nonostante i numerosi tentativi con le nuove strategie sperimentali (trapianto
di cellule staminali, DBS, ossia Deep Brain Stimulation del nucleo
subtalamico, anti-ossidanti, fattori di crescita, ecc.), può considerarsi
ancora insoddisfacente[3].
Una spiegazione dei risultati
deludenti rispetto agli studi preclinici, che noi abbiamo proposto
all’attenzione di neurologi e ricercatori già da un paio di decenni, è che al
momento dell’emergere clinico dei sintomi è già andato perduto oltre il 60% dei
neuroni dopaminergici. In altri termini, sarebbe troppo tardi in rapporto a
fisiopatologia e progressione della malattia. Un’altra ragione è, naturalmente,
che queste strategie non affrontano direttamente il nodo dei processi che
causano la degenerazione, e non sono dunque in grado di compensare la
disfunzione cellulare, agendo su altri aspetti della patologia.
Le direzioni della ricerca in cui si stanno compiendo progressi includono
il misfolding e l’aggregazione di
proteine come l’α-sinucleina, la diffusione delle proteine alterate col
meccanismo dell’attivazione dei prioni, la disfunzione mitocondriale e il
malfunzionamento di vie di controllo della qualità intracellulare, come la
funzione delle proteine chaperone e
la degradazione proteasomica e lisosomiale delle proteine. Di recente ha
attratto l’attenzione anche l’approccio gastroenterologico alla patogenesi. Se
considerate nel complesso, tutte le nuove acquisizioni cancellano la concezione
clinica del semplice disturbo motorio e indicano nella partecipazione alla
neurodegenerazione delle popolazioni cellulari diverse da quella dopaminergica
l’aspetto di maggior rilievo in quest’epoca in cui si riesce temporaneamente a
rimediare alla perdita dell’effetto dopaminergico ma non si riesce a porre un
ostacolo alla perdita di tutte le altre classi di neuroni, incluse quelle delle
reti corticali e sottocorticali della cognizione.
Già dieci anni or sono sottolineavo, introducendo la malattia di Parkinson,
che il progressivo decadimento delle facoltà intellettive è più frequente di
quanto si pensi, implicitamente superando la concezione di disturbo
esclusivamente motorio della neurologia classica:
“In questo modo nel 1817 James
Parkinson descrisse le caratteristiche sintomatologiche salienti del disturbo
neurologico denominato con il suo eponimo e definito “morbo”: movimenti involontari con carattere di
tremore, accompagnati da diminuzione della forza, non rilevabili nelle parti
del corpo a riposo e nemmeno in quelle sostenute; una tendenza alla flessione
in avanti del tronco e a passare da una deambulazione normale a un passo di
corsa, con conservazione delle facoltà intellettive.
A duecento anni di distanza questa descrizione
clinica è sostanzialmente valida, anche se può essere integrata da elementi
tratti da una più precisa semeiotica di osservazione: il tremore (da 4-5 fino a
7-8 scosse al secondo) , ad esempio, è evidente nella mano ferma non
trattenuta dall’altra mano o impegnata ad afferrare, e si distingue dal tremore
di origine cerebellare che si accentua nello sviluppo intenzionale dell’azione;
la conservazione delle facoltà intellettive è una caratteristica che bene si
spiega sulla base di una degenerazione in gran parte confinata alla componente
originata dalla parte compatta della sostanza nera del sistema nigro-striatale,
ma l’associazione di un decadimento cognitivo che evolve in un quadro di
demenza è meno rara di quanto si ritenesse un tempo.”[4]
Feng Han e colleghi, basandosi anche su rapporti clinici oltre che su
studi sperimentali, hanno elaborato il loro progetto sperimentale finalizzato
alla verifica di un possibile ruolo del disaccoppiamento tra il flusso di
liquor encefalico e l’attività metabolico-sinaptica cerebrale nel causare
disfunzione cognitiva.
A tale fine è stato definito un campione costituito da un gruppo di 60
pazienti affetti da malattia di Parkinson e un gruppo fungente da controllo,
formato da 58 volontari sani equivalenti in tutto a 58 dei 60 componenti del
gruppo patologico in cui è stata effettuata l’osservazione di verifica. Da
tutto il campione sono stati raccolti dati morfologici e morfo-funzionali cerebrali
impiegando la metodica RMN (Risonanza Magnetica Nucleare), ossia MRI (magnetic
resonance imaging) strutturale e fMRI (functional magnetic resonance imaging);
tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad esame neurologico del versante
motorio e a stima neuropsicologica cognitiva delle abilità intellettive. In
particolare, sono state adottate misure standardizzate su grandi campioni: per
la motricità la UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale) e per la
cognizione il MoCA (Montreal Cognitive Assessment).
Poiché tra i pazienti molti avevano già manifestato sintomi di difetto
prestazionale cognitivo, sono stati ripartiti in due gruppi in base alla stima
diagnostica derivante dal punteggio riportato alle prove MoCA: 1) pazienti
affetti da MCI (mild cognitive impairment), cioè con punteggio MoCA <
26, in numero di 31; 2) pazienti non (ancora) affetti da MCI, cioè con
punteggio MoCA > 26, in numero di 29.
La forza di accoppiamento tra il segnale dello stato di riposo dipendente
dal livello globale di ossigeno del sangue e il flusso di CSF è stata
quantificata, comparata tra i gruppi e associata alle misure cliniche e strutturali.
I dati in tal modo ottenuti, per il cui dettaglio si rimanda al paragrafo
in cui si elencano i risultati nel testo dell’articolo originale, dimostrano
con evidenza che il disaccoppiamento tra attività funzionale del cervello e flusso
specificamente connesso di CSF è strettamente associato al deficit cognitivo
nella malattia di Parkinson.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-22 maggio 2021
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Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] La traduzione ad orecchio di sporadic
inglese può ingenerare confusione, perché il termine italiano “sporadico”
indica qualcosa che avviene raramente, invece è importante sottolineare che le
cosiddette forme sporadiche, che è preferibile indicare come “non familiari”,
sono le più frequenti rappresentando intorno al 95% dei casi in molti studi
clinici.
[2] La scoperta di vasi linfatici
meningei dell’encefalo intorno ai seni durali, pubblicata da Loveau e colleghi
su Nature nel 2015, portò all’individuazione di un sistema di depurazione del
fluido interstiziale dell’encefalo e del midollo spinale attraverso uno scambio
di soluti extracellulari col fluido cerebrospinale (CSF) e mediazione gliale.
Alla ricercatrice danese Maiken Nedergaard si attribuisce il conio della denominazione
glymphatic (glinfatico) per indicare una funzione linfatica a mediazione
gliale. La clearance è favorita dalle pulsazioni arteriose e regolata
nel sonno da espansione e contrazione dello spazio extracellulare. Queste ricerche
sono state presentate nelle nostre recensioni.
[3] Note e Notizie 07-03-15 BAG1 è
neuroprotettiva in modelli della malattia di Parkinson.
[4] G. Rossi, Origine delle oscillazioni beta-patologiche nel Parkinson, in “Note
e Notizie” 02-07-11 e Note e Notizie 17-12-11 Meccanismo di induzione del
Parkinson da paraquat.